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Le pere di Mele

Posted by Max on 13:45
Ovvero:
all'Udicino non far sapere quanto son buone le troie con le pere.
Perle di saggezza popolare rivisitate in chiave proibizionista, nella difesa dei sacri valori familiari, e naturalmente contro il riconoscimento di qualsiasi diabolica legislazione per le convivenze. Sia mai che si sia costretti a rinunciare al brivido del coca-party, pagando puttane, droga e alcol con quello schifo di stipendio da parlamentare.
Non ho pregiudizi né contro chi fa uso di droga (a scopo ricreativo), né contro chi si affitta una troia. Questo a prescindere dal fatto che io non sia mai andato più in là di qualche canna. Sulle puttane il discorso si farebbe complicato. Non ne ho mai fatta salire una in macchina che battesse sulla strada, né ho mai chiamato alcun servizio escort, ma si potrebbe lungamente disquisire sulla natura più o meno troiesca di certe femmine che mi hanno attraversato la vita, purtroppo senza essere investite da un tir bulgaro carico di incudini. E poi per dirla proprio tutta, cene, discoteche, regali, viaggi, fiori e quant'altro per uscire con una che magari se la tira e non la cala. O che la cala ma neppure sa da che parte incominciare per un pompino ben fatto. A conti fatti, forse una prostituta non è l'alternativa più dispendiosa - e non mi sto riferendo in particolare all'aspetto finanziario.

HTornando a bomba, ovvero alle pere di Mele, ho letto blog e forum in cui la gente si mostra stupefatta (anche senza la coca). Io non mi stupisco affatto. Lo avevo già scritto non molto tempo fa che i cosiddetti "moderati" sono questo e nient'altro, nella stragrande maggioranza. Luridi ipocriti che predicano in un modo e razzolano nel modo contrario, basta non si sappia.

Cose che non si sa se facciano più incazzare o sbellicare dalle risa:
1 - che quello paghi droga e puttane coi soldi dei contribuenti
2 - che Cossiga dica "ma insomma, basta con l'ipocrisia"
3 - che Cesa approfitti e, con la faccia deretanica che lo contraddistingue, approfitti per dire che i parlamentari hanno la vita dura e dovrebbero prendere più soldi per avvicinare la famiglia".

Non posso dire in un blog pubblico quale penso sia la soluzione, o mi mettono dentro per apologia di reato.

"(...) sei contenta se un ladro muore, se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana (...)". Da Borghesia, Claudio Lolli, 1972.

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Italiani brava gente

Posted by Max on 11:14
Voglio rendere onore a Dragan Cigan, immigrato bosniaco morto affogato nel tentativo (riuscito) di salvare due bambini italiani. I genitori dei quali, una volta tratti in salvo i figli, si sono dileguati senza mostrare il minimo interesse per la sorte del salvatore della loro prole.

Onore anche all'unico altro generoso che si è tuffato, riuscendo fortunatamente a salvarsi. È un marocchino di cui il giornale pubblica solo le iniziali (sarebbero comparse solo le iniziali nel caso in cui avesse ammazzato qualcuno invece di aver salvato due bimbi?).

Due immigrati in una spiaggia piena di italiani. La dice lunga.
Ma il fatto sconvolgente e francamente vomitevole è che i genitori dei bambini, una volta recuperati i ragazzini, si siano dileguati senza mostrare il minimo interesse per le sorti di chi ha strappato a morte certa i loro figli, né per il dolore dei familiari del bosniaco. Non un grazie, non l'attesa spasmodica per ringraziare. Via. Via e basta. Domani, o forse oggi stesso, si giustificheranno dicendo che non avevano immaginato che il bosniaco stesse affogando, o chissà quale altra vaccata inconsistente del genere.

Alla famiglia di Dragan (e al marocchino che si è salvato) mando un messaggio: grazie per il sacrificio spontaneo, generoso, umano. Se potete, perdonate l'ingratitudine di quella gente e sappiate che io mi vergogno al posto loro.

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Rompere il continuum

Posted by Max on 13:28 in ,
Sembra che ultimamente l'argomento della visione del futuro e del viaggio nel tempo siano tornati a solleticare scrittori e registi, anche se la costruzione logica degli eventi non è impresa facile e spesso capita di assistere a storie potenzialmente interessanti ma che precipitano alla prova della coerenza.

La casa sul lago del tempo, con Keanu Reeves e Sandra Bullock è uno di questi. La (improbabile) storia d'amore di due tizi che comunicano attraverso il tempo utilizzando una cassetta della posta come warmhole. Per quale arcano motivo a un certo punto il cerchio si chiuda con lei che improvvisamente non è più nel futuro ma nel presente, riuscendo perfino a sottrarre l'omino al tristo destino, non è dato sapere. Il mio voto: idea simpatica, storia insufficiente, film bruttino. Buono per ammazzare il tempo se proprio non c'è di meglio da vedere.

Paycheck, con Uma Thurman e Ben Affleck, è già più interessante o forse solo più coerente. Affleck costruisce su commissione una macchina per vedere nel futuro, ma una delle clausole è che gli rimuovano selettivamente la memoria alla fine del lavoro. Lui dovrebbe fare una brutta fine, ma prima di farsi cancellare la memoria dà una sbirciatina al suo futuro e... aiuterà se stesso a salvarsi. Resta la domanda: se lui ha visto la sua fine e questo gli permette di cambiare il corso degli eventi, questi dovrebbero apparire già modificati nel passato in cui la macchina viene utilizzata. Secondo me, un loop inestricabile. Alla fine della fiera: idea semplice, storia sufficiente, film decente. Ma nulla che scriverà la Storia del cinema.

Deja Vu, con Denzel Washington, un Val Kilmer e Jim Caviezel. Altra storia di un viaggio nel tempo, infarcita di luoghi comuni e di patriottismo americota in stile hollywoodiano del tempo di Bush. Solite bandiere a stelle e striscie, soliti mlitari (questa volta in gita con le famiglie su un battello), solito terrorismo (questa volta per opera di un "patriota" estremista schizzato), soliti eroi dell FBI con congegni che mischiano googlemaps all'ennesima potenza con la macchina del tempo. Solita azione, e solito finale del buono che vince ricomparendo vivo dopo essere appena morto, in un finale incongruente. Idea trita, storia banale, film da cassetta e nulla più. Val Kilmer dovrebbe dimagrire. Gli anni passano anche per lui, ma non c'è più traccia del fico di Top Gun e di Heat.

Insomma, per vedere avventura, effetti speciali, umorismo e una storia ben congegnata sul tema del viaggio del tempo, la prima scelta rimane sempre la saga di Ritorno al futuro.

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Fine del Trattato di Westfalia

Posted by Max on 10:34
Su il Manifesto di ieri usciva questo articolo a firma di Prem Shankar Jha, uno dei massimi economisti indiani. Io l'ho trovato interessante.
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Il crollo degli stati-nazione al tempo dell'impero americano
Come potenza egemonica del ventesimo secolo, intenta a estendere il proprio potere anche nell'era del capitalismo globale, gli Stati Uniti hanno condotto l'attacco al sistema disegnato nel 1648 dal Trattato di Westfalia e fondato sul rispetto della sovranità e dei confini nazionali
Prem Shankar Jha

Nel contesto delle relazioni internazionali, il segnale del passaggio da un ordine mondiale basato sul consenso tra gli stati-nazione a un mondo basato sulla coercizione praticata da una singola superpotenza si è avuto nel giugno del 2002, quando il presidente George W. Bush jr rese pubblica la sua nuova politica per la sicurezza nazionale. Per la maggior parte degli americani, l'11 settembre 2001 il mondo era cambiato in modo irrevocabile: Bush alimentò questa convinzione quando, nel suo discorso sullo stato dell'Unione del febbraio 2002, affermò che di fronte a un nemico senza stato gli Stati Uniti non avrebbero più potuto fare affidamento sugli strumenti di deterrenza tradizionali per prevenire attacchi contro la propria popolazione e il proprio territorio.

Dopo la fine della guerra fredda
Gli Stati Uniti avrebbero pertanto dovuto prevedere in quali luoghi tali attacchi potevano essere preparati e assumere azioni preventive per impedire l'attuazione degli attacchi stessi. Ma un esame più approfondito del modo in cui si è evoluta la politica estera e militare americana dopo la guerra fredda dimostra come il passaggio dagli interventi finalizzati alla difesa del sistema degli stati-nazione agli interventi tesi a minare tale sistema sia iniziato molto tempo prima.

L'evento scatenante fu la fine della guerra fredda, nel 1989. Nei quindici anni successivi, quella che era iniziata come una serie di tentativi di intervento militare finalizzati all'ingerenza negli affari interni di altri paesi si trasformò in un assalto frontale all'istituzione dello stato-nazione e all'ordine westfaliano. I primi interventi militari dell'era successiva alla guerra fredda, finalizzati alla riorganizzazione di uno stato-nazione attraverso un intervento decisivo nei suoi affari politici interni, sono stati attuati in Bosnia, nella Somalia e a Haiti tra il 1992 e il 1994, e sono stati interventi minori che hanno coinvolto dalle 3000 alle 25.000 unità di truppe terrestri statunitensi. Tutti questi interventi furono portati avanti sotto il mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Un cambiamento irreversibile
C'è poi voluto meno di un decennio perché gli Stati Uniti, sostenuti dal Regno Unito, passassero a un'invasione non provocata dell'Iraq con 200.000 uomini, nonostante la forte opposizione dell'opinione pubblica mondiale, senza le autorizzazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con gli espliciti obiettivi messianici di abbattimento del regime di Saddam Hussein e successivo insediamento di un governo amico degli Stati Uniti, dell'Occidente e di Israele, e di trasformazione dell'Iraq in una democrazia modello e in un esempio per il resto del mondo arabo.

Pertanto, è difficile non concludere che qualcosa sia cambiato irreversibilmente a partire dalla fine della guerra fredda, un cambiamento che ha esercitato una pressione senza tregua sulla potenza egemone spingendola all'attuazione di interventi sempre piú diffusi e frequenti e sempre piú invasivi negli affari interni degli stati membri delle Nazioni Unite. Questa pressione stava rendendo sempre piú difficile il mantenimento del sistema westfaliano configurato dalla carta costitutiva delle Nazioni Unite.

Quel cambiamento irreversibile fu l'avvento del capitalismo globale, che a partire dagli anni Settanta iniziò a minare le fondamenta economiche dello stato-nazione allo scopo di creare un unico sistema globale di commercio e produzione. Negli anni Novanta, questo processo iniziò a rimodellare il sistema politico e quello internazionale per adeguarli ai propri scopi. In un saggio scritto all'inizio degli anni Novanta, Jürgen Habermas aveva sottolineato che, poiché la democrazia era stata creata per sostenere le finalità degli stati-nazione, la sua sopravvivenza avrebbe potuto essere messa in serio pericolo in caso di crollo di queste istituzioni.

I timori di Habermas si rivelarono ben fondati. La prima vittima dell'attacco alla democrazia fu il sistema di stati-nazione nato con il trattato di Westfalia e il Congresso di Vienna, e consacrato, nella sua piú recente espressione, dalla Carta delle Nazioni Unite. Il trattato di Westfalia fu firmato nel 1648 dalla Francia e dai suoi alleati con il re Ferdinando II di Spagna, per porre fine alla guerra dei trent'anni che aveva devastato l'Europa. Per raggiungere tale scopo, il trattato legittimò i governi esistenti, ricompose le loro dispute territoriali e stabilì le regole di base per i futuri rapporti reciproci tra gli stati. Questo processo stabilizzò le frontiere e diede vita al concetto di sovranità nazionale, i due attributi essenziali del moderno stato europeo.

- I princìpi che governavano le relazioni tra gli stati emersi dal trattato di Westfalia furono poi formalizzati dal Congresso di Vienna. Sebbene i confini tracciati da questi trattati siano stati alterati piú volte dalle ambizioni egemoniche dell'una o dell'altra potenza europea, i princìpi fondamentali che li avevano ispirati vennero invariabilmente riaffermati, e l'ordine del trattato di Westfalia ripristinato, ogniqualvolta la pace si riaffermava. Quei princípi erano il rispetto della sovranità e dei confini nazionali e il rifiuto di intervenire negli affari interni di un altro stato sovrano, perché qualsiasi intervento del genere sarebbe stato considerato alla stregua di un atto ostile.
Gli strumenti attraverso i quali fu mantenuto il nuovo ordine furono la diplomazia e la strategia militare. Lo scopo della diplomazia era quello di mantenere un equilibrio di potere nell'ambito della comunità delle nazioni, mentre la strategia militare agiva come deterrente contro le aggressioni.

Nella pratica, il sistema westfaliano non riuscì a prevenire le guerre: nel Seicento e nel Settecento le principali nazioni europee combatterono tra loro 60-70 conflitti durante ciascun secolo. Tuttavia, riuscì a instillare in tutte le nazioni una profonda avversione per le azioni di disturbo dello status quo, e nel contempo la disapprovazione per le aggressioni non provocate di un paese ai danni di un altro. L'ordine westfaliano raggiunse l'apice della sua efficacia durante la pace dei cent'anni, tra il 1815 e il 1914.

Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale, l'ordine westfaliano riprese vigore ottenendo poi una definitiva consacrazione nella Carta costitutiva delle Nazioni Unite.

- L'Articolo 1 limitava la partecipazione esclusivamente agli stati sovrani. L'Articolo 2(4) imponeva agli stati di «astenersi, nell'ambito delle relazioni internazionali, dalla minaccia o dall'uso della forza ai danni dell'integrità territoriale o dell'indipendenza politica di qualsivoglia stato, o comunque da qualsiasi iniziativa in contrasto con le finalità delle Nazioni Unite».

- L'Articolo 2(7) proibiva non solo agli stati membri ma alle Nazioni Unite nel loro complesso di intervenire negli affari interni degli altri stati: «Nessuna disposizione del presente statuto potrà autorizzare le Nazioni Unite a intervenire nell'ambito di questioni essenzialmente di pertinenza della giurisdizione nazionale di qualsivoglia stato».

Rafforzato dalla minaccia di «distruzione reciproca garantita», che emerse con lo sviluppo delle armi nucleari, il sistema delle Nazioni Unite impedì l'esplosione di guerre di grandi dimensioni durante i cinquant'anni di guerra fredda. Solo quando l'avvento del capitalismo globale iniziò a minare gli stessi stati-nazione, il sistema iniziò a essere sottoposto a serie tensioni. Come potenza egemonica del XX secolo - il cosiddetto «secolo breve» - intenta a estendere la propria egemonia nell'era del capitalismo globale, gli Stati Uniti hanno guidato l'attacco al sistema degli stati-nazione e all'ordine westfaliano internazionale. I critici di area liberal dell'espansionismo statunitense escludono l'ipotesi di un cambiamento rapido e ritengono che la fine della guerra fredda abbia fatto riaffiorare una tendenza imperialista nella politica estera statunitense le cui origini risalgono alla dottrina Monroe. (...)

La vittoria nella guerra fredda e la successiva «Rivoluzione degli affari militari» di fatto rimossero solo l'ultimo ostacolo al consolidamento dell'impero americano. La debolezza di questa ipotesi sta nella sua presunzione di continuità. Indubbiamente, la creazione di una rete di basi militari e l'acquisizione del territorio su cui costruirle sono state un processo continuo.

I primi passi furono compiuti nel decennio successivo alla guerra ispanoamericana del 1896, quando l'America installò basi militari in luoghi distanti tra loro come Guam, Hawaii, Filippine, il canale di Panama, Porto Rico e Cuba. Ma furono la seconda guerra mondiale e poi la guerra fredda a consentire agli Stati Uniti di ampliare la loro rete di basi in Europa occidentale, Okinawa, Giappone, Corea, Tailandia, Australia e Nuova Zelanda. L'espansione della presenza militare degli Stati Uniti continuò anche dopo la fine della guerra fredda.

Dopo la prima guerra del Golfo, nuove basi americane sorsero in Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrain, Oman, Egitto e Gibuti. La disgregazione della Jugoslavia divenne il pretesto per la creazione di basi in Bosnia e Kosovo e quella dell'Unione Sovietica condusse alla creazione di basi in Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan e Kirghizistan.

Dopo l'11 settembre, gli Stati Uniti costrinsero il Pakistan, di fatto con la minaccia delle armi, a unirsi alla nuova guerra globale contro il terrorismo: il Pakistan concesse agli Stati Uniti l'uso delle basi aeree di Jacobabad, Pasni e Quetta. Infine, dopo la guerra afghana, gli Stati Uniti hanno acquisito tre ulteriori basi aeree in Afghanistan: a Bagram, nei dintorni di Kabul, a Mazar-i- Sharif, a nord della catena dell'Hindu Kush e a Kandahar, nel sud del paese.

Ma questa continuità maschera, e quindi impedisce di riconoscere, una differenza molto importante nel modo in cui le basi furono create. Alcune lo furono attraverso la coercizione, e cioè l'invasione o la minaccia di invadere un territorio appartenente a un altro stato sovrano. Le restanti, e si tratta comunque della maggior parte, furono create con il pieno consenso delle nazioni interessate. Inoltre, la scelta del metodo per ampliare la potenza e la sfera di influenza americana non fu casuale.

I cicli del capitalismo
Gli Stati Uniti ricorsero alla coercizione per acquisire territori o basi in due periodi distinti: il primo nell'ultima decade del XIX e nella prima decade del XX secolo, il secondo dopo la guerra fredda, e in particolare dopo l'11 settembre. A cavallo dei due periodi, con rare eccezioni, l'ampliamento della potenza militare e dell'influenza degli Stati Uniti è stato tollerato o, addirittura, accolto con favore dalle nazioni interessate. La ragione di questa differenza va ricercata nell'espansione ciclica del capitalismo.

Il primo ricorso alla forza coincise con l'avvento del caos sistemico che contrassegnò la fine del terzo ciclo di espansione e, di conseguenza, dell'egemonia britannica. Il secondo ricorso alla forza è una risposta al caos sistemico che è stato innescato dalla fine del quarto ciclo di espansione del capitalismo e dall'avvento del quinto, cioè la globalizzazione. Questo è il riflesso del tentativo americano di forgiare il nuovo ordine mondiale e di stabilire la propria egemonia sopra di esso. L'esteso e pacifico ampliamento della rete di basi americane tra queste due epoche rispecchiava invece il consolidamento dell'egemonia americana durante il quarto ciclo di espansione del capitalismo.

Allarme a livello mondiale
Il processo fu reso più semplice dall'assunzione da parte degli Stati Uniti del ruolo di stato amico e protettore durante la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, e dal fatto che l'espansione del capitalismo che innescò la crescita degli Stati Uniti ebbe luogo nel quadro del sistema westfaliano degli stati-nazione. Di contro, l'espansione della potenza americana dopo l'11 settembre, soprattutto in Afghanistan, Pakistan e Iraq, rivela il palese disprezzo per la sovranità nazionale ed evidenzia l'intento di sostituire il sistema westfaliano con un impero americano costruito sulla supremazia militare e sulla costante minaccia del ricorso alla forza. Questo ha innescato un allarme a livello mondiale e ha costretto i paesi che in precedenza avevano accettato di ospitare le basi e l'egemonia militare americana a riconsiderare l'opportunità di continuare a ospitarle. Ha inoltre già spinto l'Arabia Saudita a chiedere agli Stati Uniti di chiudere le basi sul proprio territorio e convinto Francia, Germania e Belgio a rilanciare la proposta per la creazione di una forza difensiva europea al di fuori dell'ombrello della Nato. Ha inoltre allarmato i liberal americani non solo perché trovano ripugnante l'idea di un impero americano, ma anche perché questa strategia sta distruggendo l'egemonia creata, in modo prevalentemente pacifico, durante il «secolo americano».
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Chi è Prem Shankar Jha
Gli studi a Oxford, il lavoro all’Onu, poi il ritorno nell’«occhio del ciclone»
L’economista indiano Prem Shankar Jha, autore del saggio «Il caos prossimo venturo» che uscirà nelle librerie italiane nei prossimi giorni per Neri Pozza (traduzione di Andrea Grechi e Andrea Spilla, pp. 688, euro 25) è nato nel 1938 e ha studiato filosofia, politica ed economia a Oxford. Dopo avere lavorato dal 1961 al 1966 per le Nazioni Unite a New York, Jha è poi tornato in India, dove collabora come editor e giornalista alle pagine di diversi giornali, fra cui l’«Hindustan Times» e il «Times of India». È autore di numerosi saggi fra cui «India: A Political Economy of Stagnation» e «In the Eye of the Cyclone: The Crisis in Indian Democracy».

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