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Ichino o M'inchino?

Posted by Max on 08:25 in
Se Beppe non ne avesse scritto sul suo blog di oggi, l'articolo di Ichino sul Corriere - vedi sotto - mi sarebbe passato sotto il naso. E male sarebbe stato, perché si tratta di uno scritto che rappresenta la quintessenza delle mistificazioni tutte italiane. Allo spaccio di un'opinione per una realtà e al rovesciamento delle verità siamo tristmente abituati, e questo articolo ne rappresenta l'archetipo.

Non ci spenderò sopra molte parole: un numero di persone che conosco ha perduto il lavoro (o lo ha lasciato per vari motivi) negli ultimi anni, e tutto ciò che sono riusciti a trovare in alternativa è precariato malpagato e senza alcuna certezza per il futuro. Ora, Ichino può tentare di spacciare il fuoco per l'acqua e può anche sostenere che Gesù sia morto di polmonite, se crede, ma i fatti sono fatti.
Allora perché il fastidio per il libro di Beppe? Semplice: da che mondo e mondo, il malessere personale difficilmente esplode e se lo fa viene ricondotto a pazzia del singolo. "Aveva problemi, è andato fuori di testa, poveretto." Ma quando lo stesso problema affligge centinaia di migliaia (se non milioni) di persone, che riescono a sapere l'uno dell'altro e possibilmente a coordinarsi... eh beh, allora sono cazzi. Allora non è più una serie di problemi di singoli ma diventa un problema sociale.

Del resto, per smontare le balle di Ichino basta una domanda: la Confindustria difende a spada tratta la legge Biagi. Perché? Se è vero che il numero dei lavoratori impiegati è cresciuto, ma la produzione industriale è rimasta quello che era, allora c'è chi dalla legge Biagi ci guadagna e c'è chi ci perde. È sufficiente ascoltare chi si lamenta e chi gongola, chi la vuole abolire e chi la vuole mantenere, e le balle di Ichino svaniscono come bolle di sapone. Balocchi per bambini creduloni.

Una volta in piazza gridavano "lavorare meno, lavorare tutti". Oggi va di moda "farne lavorare il più possibile, pagandoli il meno possibile". È un sistema che va al collasso, se non viene cambiato. Un collasso che si vedrà nel giro di 20 o 30 anni perché quel "pagarli il meno possibile" significa abbattere gli oneri sociali, che sono poi quelli che vanno a pagare la sanità, le pensioni.

Siamo avviati verso la straccioneria.

Infine ho un dilemma: 10 persone ammazzano un giuslavorista. Loro sono terroristi, lui diventa un eroe. E va bene. Allo stesso tempo, decine, centinaia di "imprenditori" ammazzano migliaia di lavoratori tramite il "risparmio" sulle misure di sicurezza. Loro restano imprenditori, i morti sono solo sfigati. A me i conti non tornano. Chissà cosa ne pensano gli altri. Probabilmente, al passo coi tempi, "finché non tocca a me personalmente, chissenefrega"?

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Lo scontro sulle leggi Treu e Biagi
Falsificazioni pericolose
Quei frutti velenosi della faziosità bipartisan
di PIETRO ICHINO

Almeno un merito ce l’ha, la violenta invettiva di Francesco Caruso della settimana scorsa contro Marco Biagi e Tiziano Treu, con la sua coda di commenti favorevoli provenienti dal «popolo della sinistra radicale» e pubblicati dal quotidiano di Rifondazione Comunista: il merito di costringere il centrosinistra a uscire dall’equivoco riguardo al contenuto e agli effetti delle leggi, rispettivamente del 2003 e del 1997, che portano i nomi dei due giuslavoristi.
La convinzione, diffusa a sinistra, che la legge Biagi sia responsabile del precariato in Italia è documentata anche da un libro pubblicato a maggio dal notissimo attore comico Beppe Grillo — Schiavi moderni —, che si apre con queste parole: «La legge Biagi ha introdotto in Italia il precariato. (...) Ha trasformato il lavoro in progetti a tempo. La paga in elemosina. (...) Tutto è diventato progetto per poter applicare la legge Biagi e creare i nuovi schiavi moderni ». La cosa interessante è che questo libro raccoglie centinaia di testimonianze e proteste contro il lavoro precario, delle quali non una sola è imputabile a una situazione generata dalla legge Biagi (sfido Beppe Grillo a un confronto pubblico su questo punto)! E nelle pagine finali, dedicate all’analisi della legge, lo stesso Grillo non riesce a indicare una sola norma in essa contenuta che abbia allargato le maglie del lavoro precario. È, del resto, ormai pacifico tra tutti gli studiosi, di destra e di sinistra, 1) che i rapporti di collaborazione autonoma continuativa a cui Grillo — come Caruso — si riferisce sono riconosciuti dalla legge italiana fin dal 1959 e hanno avuto una crescente diffusione negli ultimi trent’anni del secolo scorso; 2) che la legge Biagi ha, semmai, introdotto una disciplina restrittiva di quei rapporti (di cui si è avvalso proprio il governo di centrosinistra per dare un giro di vite contro il lavoro precario nei call center); 3) che dall’entrata in vigore della legge Biagi quei rapporti, lungi dall’aumentare, hanno preso a ridursi; 4) che neppure la quota dei contratti di lavoro a termine sul totale del lavoro dipendente ha segnato dal 2000 al 2006 un apprezzabile aumento. Ora, Beppe Grillo non può ignorare come sulla medesima falsità che apre il suo libro—e che il seguito del suo libro stesso rende evidente—sia stata costruita nel recente passato una campagna di odio politico forsennato, che ha portato all’uccisione di una persona. Ciononostante nel suo sito Internet alcune settimane fa egli si è permesso di rincarare la dose dileggiando quella stessa persona, insieme a un’altra vittima del terrorismo, con una «versione satirica » del Corriere contenente il trafiletto che segue. Titolo: «Biagi come mio marito Calabresi: un martire»; testo: «Gemma Capra non ha dubbi: "Bisogna smettere di insultare i servitori dello Stato". Altrimenti il rischio è che si ripeta quanto accaduto a suo marito Luigi Calabresi, ucciso solo per aver fatto prendere una boccata d’aria al ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, o a Marco Biagi, ammazzato soltanto per aver aiutato gli imprenditori a sfruttare meglio i lavoratori».

Tutti coloro che si chiedono perché in Italia — unico Paese dell’Occidente industrializzato — il mestiere del giuslavorista sia così pericoloso, e il dibattito sulle politiche del lavoro resti tuttora inquinato dalla violenza terroristica, sono serviti. Se un parlamentare e un attore comico popolarissimo sono capaci di indicare, pur senza alcun fondamento, nel giuslavorista assassinato il responsabile dei mali peggiori del mondo del lavoro, perché mai non dovrebbe trovarsi in giro una testa calda capace di sparare di nuovo contro un bersaglio simile?

In questi anni non solo la sinistra, ma pure la destra ha ritenuto di presentare la legge Biagi come «la grande liberalizzazione» del mercato del lavoro. In realtà non lo era affatto; ma se i due schieramenti politici tra loro nemici erano d’accordo almeno su questo punto, perché mai 57 milioni di italiani non avrebbero dovuto crederci? Sul Corriere di ieri il segretario di Rifondazione Comunista richiama le altre forze del centrosinistra a farsi interpreti di questo sentimento diffuso, nel «popolo di sinistra» e nel movimento sindacale, contro la legge Biagi; non si rende conto l’onorevole Giordano che questo sentimento diffuso è stato generato proprio dalla faziosità bipartisan delle forze politiche?

Che il Prc sia in grave difficoltà su questo terreno si comprende facilmente. Qualche contenuto incisivo di liberalizzazione del mercato del lavoro, assai più della legge Biagi, lo ha portato la legge Treu del 1997, che ha abolito il monopolio statale dei servizi di collocamento e ha introdotto le agenzie per la fornitura del lavoro temporaneo. Francesco Caruso lo ha capito; e ora, accomunando Treu a Biagi nel suo violentissimo attacco, egli ha inteso forzare il Prc ad assumere una posizione incompatibile con la sua appartenenza alla maggioranza. Assai più che con l’odiatissima Biagi, secondo logica, il Prc dovrebbe prendersela con la legge Treu; ma esso avrebbe grosse difficoltà a farlo, perché quella legge, frutto di accordi tra governo e sindacati firmati anche dalla Cgil, fu approvata nel 1997 da una maggioranza di centrosinistra di cui lo stesso Prc faceva parte. Per questo l’esternazione di Caruso non potrà essere archiviata in fretta, come l’infortunio estivo di un deputato estremista irresponsabile: essa è una lucida provocazione mirata a costringere i dirigenti del Prc ad ammettere di aver votato nel 1997 una «legge Biagi» ante litteram e a chiedere anche di quella l’abrogazione o il «superamento». Ci sarebbe un solo modo serio in cui la maggioranza potrebbe uscire dell’impasse in cui l’ha costretta Caruso: che tutte le sue componenti accettassero di azzerare giudizi e pregiudizi politici, per discutere serenamente la questione dei veri effetti di quelle due leggi, sulla base dei dati disponibili, con l’aiuto di chi li sa leggere. Sarebbe un bagno di pragmatismo salutare per la nostra politica e per il nostro Paese; ma a chiederlo si rischia di essere presi per visionari.

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Il mio nuovo oggetto del desiderio

Posted by Max on 11:10
Bene, è ora che dica la mia su quel che da mesi è diventato il mio oggetto del desiderio: iPhone.

Da quando è uscito, anzi addirittura da quando è stato annunciato, si è scatenata la gara a chi può dirne peggio. Non ha questo, non ha quello, è un sistema chiuso, obbliga a un contratto e così via. I più smanettoni attendono che esca Neo1973, un cellulare basato su Linux, ovvero aperto, accessibile, modificabile a piacere dall'utente.

Ecco i miei 5 cents. Alcune osservazioni sono vere. Apple poteva fare di più, poteva fare ancora meglio. È vero sempre e per chiunque. Ed è vero che non sono felice di vedere Apple imboccare la strada della costrizione degli utenti. Anche se non è una novità. Nonostante questo, trovo che iPhone sia due cose: un oggetto per molti versi rivoluzionario, e un oggetto bello.

Ma la cosa più importante è che per ogni limitazione (software) esiste ormai una schiera di genietti pronta a violare, scardinare, insomma pronta a liberare gli utenti. A distanza di poco più di un mese esiste già un modo per usare iPhone con la propria sim-card (anche se attualmente è ancora necessario capirci molto e dotarsi di un paio di strumenti), installare software aggiuntivo tipo un Instant Messenger, usare Skype, installare suonerie personalizzate. Questo solo per citare alcune delle prodezze degli hacker. iPhone quindi nasce chiuso, ma inevitabilmente diventa aperto.

Allora mi sembra che la caccia al difetto di iPhone sia frutto in qualche caso di un sincero dispiacere per la politica commerciale di Apple, dispiacere che condivido, e nella stragrande maggioranza dei casi sia invece il frutto di quell'antica diatriba Win/Mac alla quale ora si aggiunge anche Linux.

Ai patiti di Bill Gates non ho nulla da dire. Mi sembra superfluo, le loro critiche sono frutto di invidia e frustrazione. Ai nobili amici di Linux, invece, dico che io guardo alla cosa con l'occhio di un utente che, pur smanettando coi programmi, non capisce una mazza di codice. Quindi cosa voglio? Io voglio un telefono che mi permetta di fare molte cose che faccio anche sul mio computer, possibilmente con un sistema che conosco e che sia stabile, sul quale posso andare a interferire grazie a chi programma e sprotegge, e possibilmente sia anche un oggetto esteticamente bello. Neo1973 esteticamente è un cellulare e basta. iPhone è un un cellulare fico. Neo, come al solito per Linux, mi obbliga a imparare linguaggi, shell e sacramenti vari se voglio modificare, implementare ecc., mentre iPhone ha una schiera di hacker che preparano pacchetti autoinstallanti, nella migliore tradizione Apple.

Ergo, lascio volentieri che Neo trovi un suo (immagino vastissimo) mercato tra i genietti di Linux, mentre io comprerò iPhone appena sarà disponibile in Europa. Sempre che non decida di fare una pazzia comprandone uno negli Stati Uniti a brevissimo.

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